Rapporto WWF: in 50 anni il mondo ha perso più dei due terzi di tutti gli animali selvatici

Attraverso uno studio a livello internazionale denominato Living Planet Report, il WWF al ha misurato la riduzione popolazioni  globali di mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci: l’analisi 2020 mostra un calo medio di due terzi avvenuto solo in meno di mezzo secolo, causato in gran parte  dalla distruzione degli ecosistemi che sta anche contribuendo all’emergere di malattie zoonotiche come il COVID-19. 

Il Living Planet Index (LPI), fornito dalla Zoological Society of London (ZSL), mostra infatti che i fattori ritenuti in grado di aumentare la vulnerabilità del pianeta alle pandemie, come il cambiamento dell’uso del suolo e l’utilizzo e il commercio di fauna selvatica, sono gli stessi che hanno determinato il crollo delle popolazioni di specie di vertebrati tra il 1970 e il 2016 il cui valore medio globale si attesta intorno al 68% di perdita.

“Il Living Planet Report 2020 sottolinea come la crescente distruzione della natura da parte dell’umanità stia avendo impatti catastrofici non solo sulle popolazioni di fauna selvatica, ma anche sulla salute umana e su tutti gli aspetti della nostra vita”,ha affermato Marco Lambertini, Direttore Generale del WWF Internazionale.Non possiamo ignorare questi segnali: il grave calo delle popolazioni di specie selvatiche ci indica che la natura si sta deteriorando e che il nostro pianeta ci lancia segnali di allarme rosso sul funzionamento dei sistemi naturali.”

L’umanità pagherà cara questa perdita

Gli impatti economici del declino della natura costeranno al mondo almeno 479 miliardi di dollari all’anno, aggiungendo fino a circa 10 trilioni di dollari entro il 2050, secondo il WWF, il Global Trade Analysis Project e il rapporto Global Futures del Natural Capital Project. 

Gli studiosi hanno monitorato quasi 21.000 popolazioni di oltre 4.000 specie di vertebrati.  Dal rapporto è emerso che le popolazioni di fauna selvatica che si trovano negli habitat di acqua dolce hanno subito un calo dell’84%, il calo medio della popolazione più netto tra tutti i bioma, equivalente al 4 per cento all’anno dal 1970. Un esempio è costituito dalla popolazione riproduttiva dello storione cinese nel fiume Yangtze in Cina, diminuita del 97% tra il 1982 e il 2015 a causa dello sbarramento del corso d’acqua. 

“Il Living Planet Index è una delle misurazioni più complete della biodiversità globale”,ha affermato il dott. Andrew Terry, direttore conservazione della Zoological Society of London. “Un calo medio del 68% negli ultimi 50 anni è catastrofico e una chiara prova del danno che l’attività umana sta arrecando al mondo naturale. Se non cambia nulla, le popolazioni continueranno senza dubbio a diminuire, portando la fauna selvatica all’estinzione e minacciando l’integrità degli ecosistemi da cui tutti dipendiamo. Ma sappiamo anche che agendo sulla attività di conservazione delle specie possiamo allontanarci da questo baratro. Servono impegno, investimenti e competenza per invertire queste tendenze”. 

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