Nella nota che segue l’approvazione del “Documento programmatico di bilancio” da parte del Consiglio dei Ministri è stato annunciato lo slittamento al 2023.
L’imposta sul consumo della plastica monouso, che doveva inizialmente entrare in vigore nell’estate 2020 e rinviata per la pandemia, sarebbe finalmente dovuta partire il 1° gennaio 2022, con l’obiettivo di ridurre l’utilizzo di prodotti di plastica e, conseguentemente, di portare a un calo progressivo della produzione della stessa, incentivando le aziende produttrici a convertire la produzione in altro. Questo rinvio avviene nonostante le dichiarazioni dell’Italia in sede G20 e COP 26 sull’importanza della fiscalità ambientale per guidare la decarbonizzazione.
La tassa, che fa riferimento a una Direttiva Europea, la 2019/904/UE, è un’imposta fissata nella misura di 0,45 euro per ogni chilogrammo di materia plastica utilizzata e i prodotti cui si applica sono principalmente quelli volti al contenimento e consegna di merci e/o prodotti alimentari: materie plastiche costituite da polimeri di natura sintetica, che non nascono in un’ottica di riutilizzo (un esempio base: la pellicola per la conservazione del cibo).
Con il rinvio della Plastic Tax nazionale si continuerà a coprire un costo legato al settore della plastica (il gettito della plastic tax europea) con fondi pubblici del budget nazionale, senza incentivare la filiera della produzione a una transizione verso un’economia più circolare.
L’Italia – nel 2018 – ha prodotto 2,3 milioni di tonnellate di rifiuti d’imballaggio di plastica, il 44,6% delle quali sono state destinate al riciclo, rappresentando il secondo Paese consumatore di plastica a livello europeo. Quella degli imballaggi è la prima fonte d’impiego delle materie plastiche: un primato pericoloso, dal momento che per la produzione di un kg di plastica vengono emessi quasi 2 kg di CO2 in atmosfera e che ogni anno finiscono in mare circa cinquecentosettanta mila tonnellate di plastica.
L’inquinamento da plastica è una emergenza planetaria che va affrontata con misure adeguate.
Marevivo, da quasi quarant’anni, lotta contro questo enorme problema ed è fra i promotori del disegno di legge Salvamare, presentato nel 2018 dal Ministro dell’Ambiente, seguendone l’iter fra Camera e Senato e ancora alla Camera, fino allo scorso novembre, con il lancio di un appello al Parlamento, insieme all’intero mondo del Mare, affinché diventasse legge entro il 2021. Questi interventi non hanno avuto successo per un problema di conformità che ha rinviato, ancora una volta, l’approvazione di una legge che ha l’apparente consenso di tutti e che anche l’Europa ci chiede.
«Veder posticipare ancora una volta la Plastic Tax al 2023 e la Legge Salvamare in discussione alla Camera in terza lettura ci sconforta: sono due provvedimenti che sarebbero andati nella direzione giusta per cercare di frenare l’inquinamento da plastica» dichiara Rosalba Giugni, Presidente di Marevivo Onlus. «Non ci basta sapere che l’equivalente di un camion di rifiuti finisce in mare ogni minuto? Non ci basta assistere alla morte di milioni di animali e all’impoverimento degli ecosistemi e riscontrare che la plastica è nel cibo degli alimenti che mangiamo, nell’acqua che beviamo, nell’aria che respiriamo, nel sale che usiamo? Non ci basta aver trovato microplastiche perfino nei tessuti della placenta delle donne? Recenti studi scientifici mostrano come la plastica entri nell’atmosfera e arrivi sulla terra nelle precipitazioni piovose e nevose, rappresentando una minaccia per l’ambiente e la salute umana. Non abbiamo più tempo. Cosa stiamo ancora aspettando?».
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