Gli impatti del ciclo di “produzione” e del consumo della carne, in termini di costi ambientali e sanitari, non sono conteggiati nel prezzo che i cittadini pagano quando acquistano cibi di origine animale, ma rappresentano un “costo occulto”, sostenuto dall’intera collettività, non compensata per il danno ricevuto.
Per individuare le dimensioni di questi impatti e di questi costi, e per misurarli con specifico riferimento al contesto italiano, LAV ha affidato a Demetra, Società di consulenza in ambito di ricerca scientifica sulla sostenibilità, uno studio indipendente sugli impatti ambientali e sanitari della carne in Italia, tradotti anche in misure economiche.
Lo studio – realizzato per la componente ambientale con la metodologia del Life Cycle Assessment – evidenzia dati allarmanti: in un anno sulla collettività gravano ben 36,6 miliardi di euro di costi “nascosti”, generati dall’impatto ambientale e sanitario del consumo di carne in Italia.
Una cifra esorbitante, seppur calcolata per difetto, ovvero, senza tener conto di tutte le carni consumate, né di tutte le patologie potenzialmente associabili al loro consumo.
La ricerca, infatti, si è concentrata solo sulle carni maggiormente diffuse nel nostro Paese (bovina, suina, avicola), ma questo non deve far dimenticare gli altri milioni di animali allevati per la macellazione, che insieme raggiungono il 3,1% della quantità annuale.
I risultati dell’indagine parlano chiaro: considerando gli impatti ambientali e sanitari, 100 g di pollo corrispondono a un danno economico per la collettività di 50 centesimi; ugualmente, 100 g di maiale corrispondono ad 1 euro, mentre sia i salumi (suino lavorato) che il bovino, giungono ad 1,90 euro di costi aggiuntivi per la collettività, non compresi nel prezzo di acquisto del “prodotto”. In altre parole, se dovessimo ricondurre queste esternalità al prezzo dei prodotti, un kilogrammo di bovino dovrebbe costare in media 19 euro in più rispetto al costo attuale.
Se il costo per 100 g di carne consumata viene parametrato al consumo annuale di questi alimenti in Italia, il disvalore dovuto agli impatti ambientali e sanitari (e sostenuto direttamente e indirettamente dalla società) si attesta intorno ai 36,6 miliardi di euro (in un intervallo che varia tra 19,1 e 92,3 miliardi di euro).
Diviso per la popolazione italiana, il danno generato dal consumo pro capite di carne si attesta sui 605 euro annui (tra i 316 e i 1.530 euro a testa). Il costo medio è ripartito quasi equamente tra costi ambientali (48%) e costi sanitari (52%).
A determinare i maggiori danni per la collettività sono i salumi, dato l’elevato consumo (39%) e gli alti costi sanitari rispetto agli altri tipi di carne. Anche le carni fresche generano danni ingenti, principalmente dovuti alle emissioni associate al loro ciclo di produzione.
In termini di soli costi ambientali – ricavati effettuando un’analisi LCA (Life Cycle Assessment) delle carni oggetto dello studio, su 11 categorie d’impatto – si rileva che il ciclo di vita di 1 kg di carne di bovino fresca genera un impatto ambientale riassumibile in un costo per la società di 13,5 €, mentre 1 kg di maiale, a seconda della lavorazione, varia tra i 4,9 e i 5,1 € e il pollo grava sulla collettività per 4,7 € al kg.
In un anno, le emissioni associate al ciclo di vita della sola carne bovina consumata in Italia equivalgono a oltre 18 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, per un costo nascosto annuale di oltre un miliardo di euro. Si tratta di una quantità di gas climalteranti equivalente a quella emessa dalle più grandi e inquinanti centrali a carbone in Europa. In totale, le emissioni di CO2 equivalente associate alla carne corrispondono a circa 40 milioni di tonnellate l’anno.
Per quanto riguarda i soli costi sanitari, (ricavati sulla base delle curve di rischio relativo in funzione del consumo giornaliero di carne per consumatore di carne medio italiano per: carcinoma al colon-retto, diabete di tipo 2, ictus e calcolati in DALY6), si è stimato che circa 350.000 anni di vita (corretti per disabilità) vengano persi ogni anno in Italia a causa del consumo di carne7. Si tratta di una stima conservativa, perché non include il danno causato da altre patologie associate al consumo di carne, i cui valori mostrano eccessivi margini di incertezza nella misurazione. Il costo di questi anni di vita persi ricade su tutta la collettività, in termini di costi sanitari e mancata produttività.
Considerando un valore medio europeo di 55.000 euro per anno di vita perso in salute e ripartendo la spesa tra i quantitativi di carne consumata, il consumo di 100 g di carne rossa costano alla collettività 54 centesimi di euro e il consumo di 100 g di salumi 1,40 euro.
“Questo studio, attraverso un approccio scientifico, vuole rendere consapevoli i vari attori della filiera della carne (dai produttori ai consumatori), degli impatti e dei costi che vengono generati dalle loro attività e azioni e che ricadono sulla collettività”, – dichiara Demetra.
“La situazione evidenziata dalla ricerca di Demetra mostra con assoluta drammaticità l’insostenibilità del consumo di carne in Italia. Ma una alternativa esiste – dichiara Roberto Bennati, Direttore Generale LAV – e Da questo studio emerge palese: la produzione di 100 g di legumi costa alla collettività, in termini di impatti ambientali e sanitari, circa 5 centesimi di euro, contro 1,9 € della carne bovina e dei salumi. Le proteine vegetali sono un’alternativa sana e di bassissimo impatto ambientale a un’industria – quella della carne – eccezionalmente dannosa, oltre che crudele.”
“In un momento storico nel quale, anche in seguito alla pandemia di Covid-19, l’attenzione al potenziale devastante della produzione di alimenti di origine animale è aumentata – spiega Bennati – e in un tempo in cui numerosi organismi internazionali, come l’IPCC, l’IPBES e altri, avvertono che è necessaria un’urgente riduzione del consumo di carne, i risultati di questo studio devono rappresentare un dato ineludibile per la politica, anche nell’ottica del raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 e degli Accordi di Parigi sul clima. Pensare di poter realizzare una transizione ecologica senza avviare subito una decisa transizione alimentare è illusorio, o peggio è un falso.”
LAV, basandosi sulle evidenze rilevate dallo studio, ritiene che sia il momento di attivare politiche – sia a livello nazionale che comunitario – che facilitino al massimo la diffusione delle proteine di origine vegetale in alternativa a quelle animali. È essenziale, per muoversi in questa direzione, che i numerosi sussidi che sostengono la filiera zootecnica – in molte fasi della “produzione” di carne – vengano presto azzerati, che al costo della carne siano riportati in larga misura i costi nascosti evidenziati nello studio oggi presentato, e che si attivino leve fiscali specifiche per indirizzare i consumi.
Sono richieste contenute anche nel Manifesto LAV “Non torniamo come prima”, per agire sulle cause della pandemia ed evitarne di future. Aderisci anche tu: lav.it/manifesto.
(Testo Lav)
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