10.000.000 DI CAPSULE DI CAFFE’ USA E GETTA MA NE VALE LA PENA?

Il fascino del caffè preparato con la moka o con la napoletana è intatto, ma non abbiamo più tempo per quello che era un vero e proprio “rito”.

 

I grandi marchi dell’industria del caffè si sono adeguati, lanciandosi nel mercato delle “macchinette a circuito chiuso”, quelle -per intenderci- dove fare un caffè è questione di pochi secondi, basta lo sforzo di inserire una capsula e premere un bottone.

Le vendite delle macchine da caffè in capsule sono cresciute del 21,9%, a fronte di un calo significativo nelle vendite di quelle tradizionali -14,9%.

In Italia l’hanno capito tutti i marchi storici di caffè, da Illy e Segafredo, da Kimbo a Caffè Mauro. Dominano il mercato, con l’80% delle quote di mercato, i giganti Nestlé, con i marchi Nespresso e Nescafè Dolce Gusto, e Lavazza.

La guerra si fa a colpi di spot “in paradiso”, interpretati da star di Hollywood come George Clooney (per Nespresso) e Julia Roberts (per Lavazza, con un cachet di 1,2 milioni di euro per uno spot in cui non dice nemmeno una parola). Il bel George, da parte sua, intervistato nel 2007 sull’apparente ipocrisia di essere al tempo stesso testimonial di Nestlé e protagonista di “Michael Clayton” (un film denuncia sulle multinazionali, ma la sua “esperienza umanitaria” è lunga 15 righe sulla sua pagina Wikipedia) ha dichiarato: “Non devo certo scusarmi se ogni tanto cerco anch’io di fare su qualche soldo”.

Quel che non si dice è come l’incremento del consumo di capsule abbia un impatto negativo sull’ambiente, visto che nella maggior parte dei casi, bevuto il caffè, si getta tutto nel bidone dell’indifferenziata.
Un impatto che è anche sul portafoglio, se si considera come il costo di un caffè in capsule sia circa 7 volte superiore rispetto ad un caffè tradizionale preparato con la moka.

Nelle scelte che il mercato propone, si possono scegliere16 tipi diversi di capsule (divisi in 16 note aromatiche e 10 gradi di intensità diversi) si tratta a ben vedere di “una scelta monogamica senza ritorno”, come la definisce Maria Moretti, responsabile Materie prime per il consorzio Ctm Altromercato.
Le capsule hanno tutte nomi italianissimi -come Roma o Arpeggio-o perlomeno italianeggianti -come Volluto e Livanto-. Secondo Luigi Odello, segretario generale dell’Istituto internazionale assaggiatori caffè, “saranno sempre più numerosi i ristoranti che sfrutteranno questa innovazione per generare una vera e propria carta del caffè”. Il tutto a un prezzo non proprio economico.

Ogni capsula, che contiene 5 grammi di caffè (tranne la varietà “lungo” che ne contiene 7), costa dai 35 ai 40 centesimi.
A ben vedere si tratta di un caffè che vale la bellezza di 70 euro al chilo: circa 7 volte in più rispetto a un caffè tradizionale preparato con la moka. Tutte le capsule in commercio utilizzano materiali differenti e che siano capsule in plastica o in alluminio, tutte hanno una cosa in comune: nascono per essere usate una volta sola. In Italia si consumano un miliardo di capsule da caffè ‘usa e getta’, il 10 % di quante ne vengono consumate nel mondo.

Questo dovrebbe farci riflettere se forse non sia il caso di tornare alla vecchia ed ecologica moka della nonna.

(tratto da altraeconomia.it)

 

 

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